In presenza di una crisi nata come crisi finanziaria e trasformatasi presto in crisi dell’economia reale – restringimento della capacità produttiva delle imprese, chiusura di molte attività economiche, perdita di posti di lavoro, miliardi di ricchezza finanziaria distrutta nella quotidiana rulette borsiaria -, assistiamo quotidianamente al susseguirsi di annunci della politica previdentemente attenta a mantenere un filo di ossigeno al declinante tasso di fiducia, specie di quella parte della società da cui dipendono investimenti e capacità d’iniziativa privata, ed al tempo stesso intenta a remunerare il proprio consenso. Tuttavia, per chi osserva attentamente ogni giorno l’evolversi della crisi, balza subito in chiaro che i dati reali sulla crisi mostrano un quadro ben diverso rispetto a quello propinato dalla politica degli annunci.
La cosa più utile e seria da fare è partire dai dati e dalle previsioni ufficiali emanate dagli organismi internazionali. L’OECD nell’ultimo Economic Outlook (Giugno 2009) afferma che la discesa delle economie mondiali sta per raggiungere il punto di picco più basso da sessanta anni a questa parte.
Per quanto concerne le previsioni di ripresa, l’OECD ravvisa come rispetto alle ultime previsioni di marzo, sia all’orizzonte una prima inversione di tendenza, ma con dei distinguo. Infatti mentre per l’economia USA e le cosiddette economie emergenti è previsto un miglioramento dei dati, le prospettive per l’area euro tendono al peggioramento.
Più nel dettaglio, l’attività economica USA quest’anno è prevista contrarsi del -2.8% contro il -4% annunciato a marzo. La crescita è invece prevista ritornare ad un segno positivo dello 0.9% nel 2010 contro la crescita zero precedentemente annunciata. Pur tuttavia, la ripresa non sarà sufficientemente forte da arrestare la forte ascesa della disoccupazione che si attesterà attorno al 10% nei prossimi due anni (allarme annunciato dallo stesso Bernanke e da Obama nei loro ultimi interventi).
Diverso è il discorso per le economie cosiddette emergenti. La crescita del Pil della Cina è atteso essere al 7.7% nel 2009 e al 9.3% nel 2010, con miglioramenti rispetto alle precedenti previsioni. In Brasile si attende un -0.8% nel 2009 ma con un rimbalzo al 4.0% nel 2010. In India la crescita è prevista fermarsi al 5.9% nel 2009 prima di accelerare al 7.2% nel 2010.
In Russia, -6,8% e segno positivo del 3,7% nel 2010. Per il Giappone è prevista una caduta al -6.8% nel 2009 per tornare a crescere fino allo 0.7% nel 2010.
Soprattutto nel caso di Cina ed India, la crisi ha agito soltanto come rallentamento dei trend di crescita elevatissimi di questi ultimi anni, i quali peraltro rimangono del tutto eccezionali.
Secondo l’OECD segni di ripresa non sono ancora chiaramente visibili nell’area euro. Il Pil è infatti atteso contrarsi del -4.8% quest’anno per poi avere una crescita zero nel 2010. Soprattutto un eventuale ripresa della dinamica del Pil dovrebbe essere molto lenta in quanto la crescita della disoccupazione abbatterà ulteriormente la spesa per consumi delle famiglie. A ciò si accompagnerà una pressione al ribasso dell’inflazione nei prossimi due anni.
Sul fronte delle misure da intraprendere l’OECD richiama i governi nazionali alla necessità di implementare con operatività immediata politiche di stimolo dell’economia, come la riduzione delle tasse ed ingenti immissioni di spesa pubblica. Allo stesso tempo, occorre da subito lavorare con un’efficace azione di migliore regolazione dei mercati finanziari per mettersi al riparo da future crisi. Quando la ripresa sarà sufficientemente forte, misure di consolidamento fiscale simultanee da parte dei paesi saranno necessarie, ma bisognerà anche prestare attenzione alla misura in cui i vari settori subiranno tagli delle spese ed aumento delle tasse, al fine di evitare danni di lungo termine alle prospettive di crescita.
Ad ogni modo, la ripresa sarà debole e fragile, e i danni economici e sociali causati dalla crisi dureranno per lungo tempo. In altri termini, terminata la crisi, nulla sarà come prima, in quanto essa scolpirà profondi mutamenti negli assetti dell’economia e della società.
Anche il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita globale del 2010 collocandole al 2.5% con un miglioramento di 6 decimi di punto rispetto alle stime del World Economic Outlook di aprile, mentre ha peggiorato di un decimo di punto le stime 2009 al -1.4%. Le nuove stime di crescita globale prendono spunto specie da un miglioramento delle previsioni per l’economia USA, che passano a un calo del -2.6% del Pil nel 2009 (+0.2 rispetto alle previsioni di aprile) e ad uno 0.8% nel 2010 (+0.8).
Parzialmente concordanti con le stime dell’OECD le previsioni per l’area euro con un peggioramento di 0.6 punti al -4,8% quest’anno e un miglioramento di 0.1 punti a -0.3% nel 2010.
Per l’Italia l’FMI ha drasticamente rivisto al ribasso (-0.7 punti) le stime per quest’anno portandole a un calo del Pil del -5.1% e migliorando quelle del 2010 di 3 decimi di punto a -0.1.
Previsioni di crescita del prodotto mondiale (GDP a prezzi di mercato – variazioni percentuali)
Fonte: World Economic Outlook, IMF, June 2009; OECD Economic Outlook OECD, June 2009
Soffermandoci sull’economia interna, vi sono previsioni parzialmente discordanti tra Bankitalia ed il governo e comunque non in linea rispetto ai più autorevoli organismi internazionali. Le previsioni indicate dalla Banca d’Italia nel Bollettino economico indicano che il Pil italiano precipiterà quest’anno a -5.2%, mentre nel 2010 ci sarà crescita zero. Mentre nel Dpef il governo prevede un dato analogo per il 2009 (-5.2%), è più ottimista per il 2010 con una crescita dello 0.5%. Tuttavia, afferma Bankitalia, “trainata da una ripresa mondiale che, nelle valutazioni degli organismi internazionali si avvierebbe pur a ritmi blandi già nei prossimi mesi, l’attività produttiva tornerebbe a crescere nel corso del 2010“. A ciò “vi potranno contribuire – sottolinea Bankitalia – i provvedimenti recentemente varati dal governo, in particolare la temporanea agevolazione fiscale degli investimenti in macchinari e l’aumento dei fondi destinati al pagamento dei debiti commerciali alle imprese”.
Segnali certamente incoraggianti, ma l’economia dei numeri e delle previsioni contrasta con l’attualità e quotidianità dei problemi urgenti dell’economia reale, la quale continua a dirci che centinaia di imprese chiudono o restringono la propria attività produttiva, migliaia di persone perdono la propria occupazione ed il proprio reddito, con conseguenze sempre più gravi sull’intero sistema economico. Numeri ed annunci sono fluttuanti, la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro non lo sono e soprattutto non lo sono le conseguenze per gli individui, tra l’altro con ulteriore aggravio delle già forti e persistenti disuguaglianze.
Sul fronte dei provvedimenti necessari e tempestivi, condividendo l’analisi sulle cause all’origine della crisi e le conclusioni sostenute da Pressacco e Seravalli [1] nell’articolo pubblicato sul Menabò di Etica ed Economia, “la crisi dell’economia reale sarà profonda e lunga perché essa nasce, in ultima analisi, dalla stessa economia reale, come aumento insostenibile degli squilibri distributivi. Ne consegue ancora che la crisi non potrà essere contrastata esclusivamente da provvedimenti di politica monetaria e di governo della finanza. Vanno urgentemente ripristinate, mediante provvedimenti di politica fiscale, le condizioni di riequilibrio nella distribuzione dei redditi che consentono uno sviluppo non finanziariamente drogato dell’economia”.
[1] F. Pressacco e G. Seravalli (2009), Le origini reali della crisi globale, Menabò di Etica ed Economia (Luglio), Roma https://archivio.eticaeconomia.it/836.html