Lungamente attese, finalmente il 14 luglio scorso sono state pubblicate sulla G.U. (n. 161) le nuove Linee Guida (LG) della l. 40/2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (P.m.a.). Appare utile sottolineare ab initio che è la stessa legge a prevedere l’aggiornamento delle LG ogni tre anni, in considerazione dell’evoluzione medica in materia; sotto tale profilo, dato che l’ultimo aggiornamento risaliva al 2008, il ritardo del Ministro, a partire dal 2011, ha configurato una vera e propria violazione della stessa legge (F. Gallo, 2015). L’adozione delle nuove LG era tuttavia diventata urgente soprattutto per fare fronte alla situazione di incertezza che si è determinata a seguito dello smantellamento per via giudiziaria della l. 40 e che ha coinvolto operatori, destinatari della legge, ma anche – a fronte delle inadempienze statali – le Regioni. La disciplina della P.m.a., a undici anni dalla sua approvazione, si presenta, infatti, come un puzzle non solo scomposto, ma ancora privo, nonostante le nuove LG, di alcuni tasselli fondamentali necessari ad orientare l’intero quadro normativo.
Tre sono le censure che hanno inciso sull’impianto originario della legge; la prima, riconducibile alla sent. della Corte cost. n. 151/2009, ha determinato l’eliminazione del limite massimo di creazione di tre embrioni da trasferire in un unico e contemporaneo impianto; conseguentemente oggi non solo la scelta sugli embrioni da produrre è restituita alla valutazione clinica del medico, ma viene meno anche il rigido divieto di crioconservazione degli embrioni. La seconda modifica si deve alla sent. della Corte cost. n. 162/2014, ed attiene all’eliminazione del divieto di P.m.a. eterologa per chi sia affetto da sterilità o infertilità assolute. La terza ed ultima modifica, introdotta con la sent. della Corte cost. n. 96/2015, ha definitivamente eliminato il divieto di accesso alla P.m.a., e conseguentemente alla diagnosi genetica preimpianto (D.g.p.), per le coppie fertili ma portatrici di malattie a trasmissione genetica.
Muovendo da quest’ultima apertura, va sottolineato che essa è stata del tutto ignorata dalle nuove LG, nonostante il monito chiaro della Consulta, a conclusione della sentenza n. 96/2015, in cui si invitava il legislatore ad «introdurre apposite disposizioni al fine della auspicabile individuazione (…) delle patologie che possano giustificare l’accesso alla P.m.a. di coppie fertili e delle correlative procedure di accertamento (anche agli effetti della preliminare sottoposizione alla diagnosi preimpianto) e di una opportuna previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture abilitate ad effettuarle (anche valorizzando, eventualmente, le discipline già appositamente individuate dalla maggioranza degli ordinamenti giuridici europei in cui tale forma di pratica medica è ammessa)».
Le LG adottate si presentano, dunque, già incomplete rispetto alle aperture della Corte costituzionale sulla legge; in relazione al particolare profilo, inoltre, se da un lato è vero che il Ministero ha avuto poco tempo, dall’altro va anche sottolineato che l’individuazione delle patologie per le quali è ammessa la D.g.p. sugli embrioni e delle forme di controllo delle strutture abilitate, anche sulla base di quelli che sono i protocolli in uso in altri Paesi – come suggerito dalla stessa Corte, e sulla base dell’esperienza dei centri italiani che già effettuano l’esame -, non avrebbe comportato grandi difficoltà. Resta ora da verificare, alla luce di questa ennesima lacuna, quali saranno le conseguenze applicative, ben consapevoli che, in materia di P.m.a., la pratica (diffusa) del non deciso e del poco chiaro ha sempre prestato il fianco ad interpretazioni restrittive da parte dei centri abilitati alla P.m.a.
La prima novità di rilievo delle nuove LG riguarda invece la regolazione dell’accesso alla fecondazione eterologa, ma anche in questo caso si tratta di una normativa incompleta.
All’indomani della sent. n. 162/2014, la decisione del Governo di sospendere la fecondazione eterologa nei centri che l’avevano avviata, in attesa delle nuove LG o di una modifica della l. 40, ha creato una diffusa incertezza, alla quale le Regioni hanno risposto adottando autonomamente, nel settembre del 2014 con una delibera della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle PP.AA., delle linee guida regionali sulla P.m.a. eterologa, al fine di garantire comunque la prestazione; tuttavia, nonostante il tentativo di dotarsi di una disciplina unitaria, il risultato è stato un vero e proprio far west che ha causato la sostanziale impossibilità di accesso alla P.m.a. eterologa, ad eccezione di qualche Regioni. La comprensione a pieno della vicenda, nella quale alle assenze dello Stato è conseguita una sovrapposizione di interventi molto frammentata delle Regioni, non può prescindere dal costo del diritto a procreare e dalla grave situazione economica della maggior parte delle Regioni, alcune delle quali strette dai vincoli dei piani di rientro.
Ma il vero dato dal quale appare necessario muovere è rappresentato dal fatto che le prestazioni rientranti nella P.m.a., dal 2004, non sono mai state inserite nell’elenco del Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), con la conseguenza che in relazione alle relative prestazioni si è affermato un “federalismo sanitario estremo” (M.P. Costantini, 2014) poco rispettoso degli artt. 3 (principio di eguaglianza) e 32 Cost. (diritto alla salute), ma anche dell’art. 120 Cost. che prevede l’intervento dello Stato a garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; ma in questo caso, ed è proprio questo il punto da evidenziare, lo Stato non solo non ha garantito i LEA, ma è all’origine della loro inattuazione, colpevole di non essere riuscito, dal 2001, a far approvare l’aggiornamento complessivo dell’elenco dei LEA. Sono state, dunque, le Regioni a sostituire Stato, dando risposte modulate ognuna sulla propria possibilità di spesa, con il risultato che, in materia di P.m.a., ma non solo, si sono avute ben venti modalità differenti di assolvere le relative prestazioni e di prevederne costi e criteri di accesso per le coppie (Angelini, 2015). In questa situazione di estrema diversificazione fra Regioni e di protratta latitanza dello Stato si è inserita la sent. della Corte cost. sulla P.m.a. eterologa che, a seguito dei nuovi rinvii dello Stato, ha condotto ancora le Regioni a “far da sé” (R. Lugarà, 2015). Tuttavia, nonostante il tentativo di darsi delle direttive comuni, nella pratica, il seguito dato da ciascuna Regione alle linee guida condivise nel settembre 2014 è stato diversificato, molte regioni, infatti, si sono trovate nell’impossibilità di introdurre la P.m.a. eterologa nei LEA regionali a causa della rigidità dei piani di rientro cui sono sottoposte.
Questo è lo scenario in cui si inseriscono le nuove LG ministeriali, che presentano senza dubbio novità di rilievo, ma lasciano ancora molte lacune, prima fra tutte il mancato aggiornamento del LEA, la cui proposta di revisione è stata presentata dal Ministro Lorenzin lo scorso febbraio, ma che non è stata ancora adottata a causa probabilmente delle difficoltà poste dai vincoli economici sempre più stringenti e che finisce per trasferire sulle Regioni il costo di prestazioni fondamentali.
In base alle nuove LG la P.m.a. eterologa viene ammessa anche nella versione della doppia donazione contestuale, del gamete sia maschile che femminile, per la coppia ricevente; in generale il suo l’accesso è consentito alle coppie in cui uno dei due partner sia affetto da sterilità e infertilità assolute e alle coppie sierodiscordanti, cioè in cui uno dei due partner sia affetto da malattia virale sessualmente trasmissibile, come l’HIV. La novità qui è rappresentata dal fatto che le precedenti LG si limitavano a prevedere l’accesso (ma alla D.g.p.) solo delle coppie in cui la sola componente maschile era affetta dalla patologia virale.
In considerazione inoltre della maggiore differenziazione dei percorsi di fecondazione assistita aperta della sentenza n. 162/2014, le LG prevedono, a carico del medico, una descrizione più dettagliata e motivata, nella cartella clinica, dei percorsi di P.m.a. decisi. La previsione riguarda anche, come conseguenza alla sentenza n. 151/2009, la necessaria valutazione e motivazione, da parte del medico, sul numero di embrioni strettamente necessario da generare e su quello degli embrioni non trasferibili e temporaneamente congelati. Il nuovo decreto, inoltre, si limita a fornire le indicazioni necessarie alla coppia che accede ai trattamenti per l’eterologa, mentre la disciplina relativa ai donatori – anche questa molto attesa – è lasciata ad un nuovo Regolamento già approvato dal Consiglio superiore di sanità e che sta proseguendo il suo iter per il recepimento delle direttive europee di riferimento.
Infine, le LG tentano di dare una risposta parziale ad un’altra questione aperta molto di recente, in conseguenza alla possibilità, ammessa dalla sent. n. 151/2009, di crioconservazione degli embrioni non trasferiti. Ci si riferisce in particolare alla questione della sorte degli embrioni non impiantati per scelta medica, la cui gestione sta diventando davvero problematica se si pensa che il loro numero è salito fra il 2008 e il 2010 da 763 a 16.280.
In attesa di un decreto sugli embrioni abbandonati, che sembrerebbe imminente in base alle dichiarazioni del Ministro della salute, le LG danno indicazione sulla loro crioconservazione prevedendo che questi debbano essere conservati presso i centri dove sono state eseguite le terapie, con relativi oneri a carico di questi ultimi. Si stabilisce, inoltre, una clausola di salvaguardia in base alla quale la donna ha sempre diritto ad ottenere il trasferimento degli embrioni congelati. Viene ribadito, infine, il divieto di sperimentazione sugli embrioni residuati da P.m.a., e così, mentre gli scienziati italiani utilizzano cellule staminali embrionali importate dall’estero, si resta in attesa di un nuovo intervento della Corte costituzionale ˗ preceduta dalla recente pronuncia della C. Dir. Uomo, la sentenza della Grande Camera, Parriello c. Italia, del 27-8-2015 ˗ che dovrà decidere proprio sulla possibilità di donare gli embrioni, non utilizzabili a fini procreativi, alla ricerca scientifica.
La vicenda della P.m.a è paradigmatica non solo delle conseguenze di una legislazione sbagliata, ma anche degli effetti negativi del cattivo funzionamento della dimensione verticale dell’organizzazione dei poteri e dell’immediata incidenza che questa ha sull’universalità dei diritti (M. Luciani, 2002), soprattutto a causa dell’assenza del ruolo unificante della dimensione dei diritti affidato allo Stato la cui conseguenza appare nella pericolosa scissione fra nazionalità e cittadinanza.