Il 18 aprile l’Istat ha diffuso i dati definitivi del Primo censimento permanente sulle Istituzioni Non Profit presentando dati approfonditi su molteplici aspetti quali la dimensione economica, la tipologia di finanziamento prevalente e il tipo di attività economica svolta, le reti di relazioni, le attività, gli obiettivi e gli strumenti di comunicazione in uso, l’attività di raccolta fondi, i servizi erogati e l’orientamento al disagio. In queste note, nonpotendorendere compiutamente conto di questa massa di informazioni, si illustreranno alcuni tratti strutturali del mondo non profit italiano (vedi tavole 1, 2, 3 e 4 di seguito), mettendo in luce come le varie organizzazioni rispondono a esigenze che emergono all’interno di ecosistemi differenziati, sotto il profilo istituzionale, economico e anche culturale. In particolare si richiamerà l’attenzione sulla tendenza verso due tipologie polarizzate di organizzazioni non profit. La questione è rilevante anche in relazione al Registro Unico Nazionale del terzo settore ne previsto in norma dal 2017 e, anche in questa prospettiva, sarà oggetto di riflessione in un articolo che comparirà sul prossimo numero del Menabò.
Nel complesso l’Istat stima che le Inp attive in Italia siano poco più di 336 mila, in aumento rispetto al passato. L’85,3% si qualifica come associazione, non riconosciuta o riconosciuta; il 4,8% come cooperativa sociale; il rimanente 10% circa si distribuisce tra forme giuridiche diverse. Per quasi i 2/3 (64,9%) il settore prevalente di attività è la cultura, ricreazione e sport; per poco più del 9% l’assistenza sociale e protezione civile; e per il 6% le relazioni sindacali e rappresentanza di interessi.
Le organizzazioni con dipendenti sono 55.196 (+ 32,2 rispetto al 2011). Il volume di affari ammonta a 70,4 miliardi di euro e le fonti prevalenti sono: i contributi annui degli aderenti (27,3%); i proventi e le entrate da contratti e/o convenzioni con istituzioni e/o enti pubblici nazionali e internazionali (25,1 %); proventi e entrate derivanti dalla vendita di beni e servizi (il 22,9%).
Prevedibilmente, per il 71,9% le entrate derivano dall’attività di organizzazioni market. Tuttavia, è interessante notare una significativa differenza tra Lazio e Lombardia dove sono localizzate, rispettivamente il 9,2 e il 15,7% delle unità censite. Da queste due regioni proviene il 50% delle entrate complessive ma nel Lazio la fonte più rilevante delle entrate è l’attività non market, in Lombardia l’ attività market.
Il valore medio delle entrate per le istituzioni nonprofit si attesta attorno ai 210 mila euro; sempre in media, le associazioni dichiarano entrate per 121 mila euro; le cooperative sociali per 866 mila euro; le fondazioni per oltre 1,5 milioni di euro e le altre forme intorno ai 428 mila euro. E’ opportuno rilevare che la composizione delle entrate varia in misura notevole a seconda della forma giuridica dell’organizzazione. Ad esempio, l’89% dei contributi versati dagli associati sono riconducibili ad associazioni (quota che, a prima vista, può impressionare ma che eccede solo di poco il numero di organizzazioni con questa forma giuridica); mentre il 40,6% e il 39,1% rispettivamente dei proventi e delle entrate da contratti e/o convenzioni con istituzioni e/o enti pubblici nazionali e internazionali e dei proventi/entrate derivanti dalla vendita di beni e servizi, sono incamerati da cooperative sociali (valori pari a circa 8 volte la dimensione del gruppo, misurato in termini di unità organizzative).
Le entrate superano le uscite, sempre nel complesso, di oltre 9 miliardi: le voci di uscita più rilevanti sono acquisti di beni e servizi (35,2%), oneri e spese per i dipendenti (32,3 %) e sussidi, contributi ed erogazione a terzi (11,6%).
Nelle organizzazioni nonprofit trovano lavoro 1.081.992 di persone; in 4 casi su 5 si tratta di cooperative sociali (40,6%) o di associazioni (34,9%). L’occupazione è distribuita secondo alcuni profili di specializzazione settoriale, più o meno marcati a seconda della forma organizzativa prevalente nei singoli contesti. In particolare, si osserva che
- il 28,3% dei lavoratori è occupato nell’assistenza sociale e nella protezione civile, un settore in cui l’occupazione è riconducibile nel 76,7% dei casi a cooperative sociali,
- il 23,1% nel settore cultura, ricreazione e sport, dove il 79,5% dei lavoratori dipendono da associazioni,
- il 17,7% nel settore salute, i cui lavoratori sono per il 38,6% dei casi occupati in cooperative sociali e per il 23,1% dei casi infondazioni. Infine:
- il 13,8% nel settore istruzione e ricerca, dove il 44,9% dei lavoratori risultano dipendere da altri enti, soprattutto di impronta religiosa.
E’ opportuno sottolineare, tuttavia, che la quasi totalità degli occupati delle cooperative è impegnato in attività di tipo market, mentre nel caso delle associazioni ben il 51,7% dei lavoratori opera all’interno di processi non market. Nelle fondazioni e nelle organizzazioni con altra forma giuridica la strutturazione dell’occupazione è analoga a quella registrata per le cooperative sociali, anche se in questo caso la concentrazione di lavoratori nelle attività market risulta significativamente meno intensa.
Un elemento distintivo del profilo delle istituzioni nonprofit è il ricorso, più o meno accentuato, al lavoro volontario. Rispetto al censimento del 2011, nel Primo censimento permanente sulle Inp si rileva, che le unità osservate sono aumentate dell’11,2% (passando da 301.191 a 336.275), mentre le organizzazioni che ricorrono a volontari sono cresciute del 9,9% (da 243.482 a 267.529) e il numero dei volontari in esse attivi del 16,2% (da 4.758.622 a 5.528.760 unità dichiarate).
Nel 2015 le organizzazioni si avvalevano in media del contributo lavorativo di 21 volontari (un valore stabile rispetto al 2011). Tuttavia il 91% dei volontari è incluso nelle iniziative promosse da associazioni (e risultano impegnati soprattutto in attività non market, in prevalenza nel settore cultura ricreazione e sport), un ulteriore 7,3% opera all’interno di organizzazioni con altre forme giuridiche (spesso di natura religiosa e impegnati in attività culturali, ricreative e sportivee/o religiose); invece nelle fondazioni e nelle cooperative sociali il loro contributo appare residuale. Nelle cooperative sociali, in particolare, per la maggior parte i volontari sono inseriti in contesti organizzativi market oriented, prevalentemente nel settore dell’assistenza sociale.
Da questa pur sintetica presentazione emerge non soltantol’eterogeneità del mondo non profit, ma anche la sua tendenza a strutturarsi in due tipologie di organizzazioni:
- da una parte, le organizzazioni che producono beni e servizi, tipicamente ad alta intensità di lavoro, per il mercato, rispondendo a fabbisogni sociali mediati da pubbliche amministrazionie dando lavoro ad un numero cospicuo – e nel complesso in crescita – di lavoratori;
- dall’altra le organizzazioni che operano prevalentemente fuori mercato, si tratta di decine di migliaia di organizzazioni, di dimensione sociale ed economica modesta, ampiamente autofinanziate e in grado di mobilitare oltre 5 milioni di volontari per lo svolgimento, più o meno programmato, in via ricorrente o saltuaria, delle iniziative che le singole associazioni attuano nei territori d’elezione.
Questi due ecosistemi non sembrano sovrapponibili, piuttosto appaiono polarizzati come conferma l’esame di alcune loro divergenti caratteristiche: più fortemente o per nulla dipendenti da vincoli di mercato, più fortemente o per nulla colonizzate dai vincoli amministrativi, più fortemente o per nulla sostenute dalla presenza di volontari. In realtà, differenti sembrano essere gli ecosistemi socio-culturali che favoriscono la nascita e il mantenimento delle varie organizzazioni; le risorse materiali, fisiche e simboliche su cui fanno leva i loro promotori per operare; le forme organizzative che lo specifico campo di relazioni sociali in cui esse sono collocate consente loro di adottare. Questi processi, d’altra parte, possono verificarsi senza che sia necessariamente avvertita, da parte di coloro che li attivano, la necessità di adattarsi meccanicamente a pressioni esterne e asimmetriche -perché dislocate altrove, astratte e prive di un riconoscimento significativo nel medesimo contesto di riferimento – verso la istituzionalizzazione delle iniziative messe in cantiere. Questi aspetti e le loro implicazioni saranno approfonditi sul prossimo numero del Menabò.