Tutti sappiamo che il legame fra la casa di residenza ed il benessere personale è principalmente rappresentato dal suo conforto e dalla vicinanza al posto di lavoro ed ai servizi essenziali per la famiglia – dalla scuola, all’ASL, ai negozi. Al benessere contribuiscono anche la prossimità ad infrastrutture come i grandi parchi, le aree verdi, le aree-giochi e gli spazi comuni che favoriscono la socialità. Nonostante Internet ed i social networks, i punti di ritrovo collettivo – centri culturali, circoli politici, palestre – continuano a svolgere la funzione che nelle antiche città-stato greche fu dell’agorà e nei borghi medievali della piazza del mercato. In sintesi, la casa di residenza riflette il nesso fra il benessere dell’individuo ed il contesto ambientale in cui vive; mentre lo spazio urbano definisce le opportunità di relazioni sociali delle persone. Due buoni motivi per attribuire all’abitare (housing) un posto di primo piano nella valutazione del benessere sociale.
Fra gli indicatori del benessere elaborati dalle grandi organizzazioni internazionali – a cominciare dalle Nazioni Unite – l’abitazione figura subito dopo le dimensioni più rilevanti per l’individuo: reddito, salute, educazione. L’importanza della casa per le condizioni di vita delle persone è immediatamente evidente allorché si consideri che essa rappresenta la voce principale del bilancio famigliare e una fra le prime forme di investimento della ricchezza (J. Kemeny, in Journal of Housing and the Built Environment, 2001).
Il ruolo della abitazione come determinante del benessere è però tutt’altro che facile da stimare. E’ stato osservato come l’inclusione della casa nella valutazione del benessere faccia emergere una sovrastima della diseguaglianza misurata in base ai tradizionali indicatori reddituali (reddito, oppure salario). Dal benessere complessivo individuale andrebbe infatti sottratto il beneficio in termini di minore prezzo della casa sopportato dai soggetti che si concentrano nelle aree a più basso costo residenziale, che in parte compenserebbe la sperequazione in termini di reddito percepito fra i soggetti che vivono in aree ad alto ed a basso reddito pro capite (E.L.Glaeser e J.D. Gottlieb, in Journal of Economic Literature, 2009). Tuttavia, un considerazione dello spazio in cui si è residenti nel computo del benessere individuale deve anche tenere conto non solo della diseguaglianza di ordine monetario ma anche delle determinanti extra-economiche della “qualità della vita”.
Tali determinanti extra-economiche sono numerose e presentano un diverso grado di misurabilità. La qualità dell’appartamento e dell’area residenziale in cui si colloca, il numero di stanze e di servizi igienici di cui è dotato, la piacevolezza del viverci, sono caratteri abitativi a cui è relativamente agevole attribuire un coefficiente atto a misurare il contributo che danno al benessere della persona e/o della famiglia. Non è così per l’ambientazione sociale, e ciò preclude la possibilità di ricondurre il valore della casa al valore monetario dei suoi caratteri abitativi.
Due sono i principali fenomeni “sociologici” che si segnalano per la loro influenza sui diversi ambiti della vita personale e sociale: la criminalità e la povertà. In effetti, si tratta di due fattori ambientali che riducono il benessere personale sia direttamente – a causa dell’insoddisfazione e del disagio psicologico che si accompagnano al vivere in una zona degradata – sia indirettamente, in quanto rappresentano un grave impedimento ad una soddisfacente vita sociale.
Questa constatazione ci porta a sottolineare un aspetto che accomuna la casa a tutti gli altri “spazi” del vivere: il carattere multidimensionale del benessere non si esaurisce nella somma di quanto benessere traiamo da ciascuno dei suoi “componenti”. E’ altrettanto degno di nota che nella società dell’individualismo tende a generarsi la propagazione di tipo auto-accumulativo – dall’una all’altra delle varie dimensioni (nella terminologia statistica, la cross-correlation) – del disagio e dell’esclusione sociale (A.B. Atkinson e F. Bourguignon, in Arrow and the Foundations of the Theory of Economic Policy, a cura di R. Feiwel, London, Macmillan.1987) un’economia di mercato, tanto più sperequata è la distribuzione del reddito tanto più pervasivi sono gli spillover di disagio sociale che coinvolgono in modo non secondario anche la condizione abitativa. I soggetti a basso reddito (o privi di reddito), oltre ad essere esposti al rischio di un stato di salute inferiore alla media, e – soprattutto se giovani – ad una ridotta capacità di dedicare risorse economiche e psichiche all’innalzamento della propria educazione e formazione professionale, finiscono anche per conoscere una bassa qualità dell’abitazione. I meno abbienti, in particolare, essendo molto di rado proprietari della casa, subiscono anche un costo dell’abitare esorbitante rispetto al proprio guadagno.
La condizione abitativa rileva non soltanto in relazione al reddito, ma anche alla ricchezza. Sulla scia dell’analisi di Piketty (Capital in the 21st century, 2013) ci si va interrogando sul ruolo della proprietà della casa come fattore moltiplicativo delle disparità sociali. In particolare, si osserva che lo standard di vita degli anziani dipende anche dalla rendita imputata per la proprietà dell’abitazione, che consente all’anziano di meglio difendere il suo livello di consumo durante la vecchiaia nel caso abbia un reddito pensionistico basso. La distribuzione della proprietà dell’abitazione si presenta tuttavia molto sperequata nei diversi paesi avanzati, con effetti probabilmente regressivi una volta che si consideri l’abitazione nel computo multidimensionale del tenore di vita (B. Bradbury in Income Inequality. Economic Disparities and the Middle Class in Affluent Countries, a cura di J.C. Gornick e M. Jantti,2014).
Esiste poi anche il nesso di causalità opposto, o quanto meno la correlazione che lega all’area di residenza la probabilità di ottenere un’occupazione e quindi un reddito. Una tradizionale oggetto di ricerca empirica negli Stati Uniti riguarda il mancato incontro (mismatch) fra spazio urbano ed accessibilità del posto di lavoro per i soggetti a basso reddito. In altri termini, a parità di qualificazione professionale, essendo le posizioni di lavoro aperte (vacancies) concentrate in aree dove è elevato sia il costo dell’abitazione che il tempo ed il costo del trasporto pubblico per raggiungerle, le fasce deboli della popolazione hanno minore probabilità di occuparle (A. De Palma et al., A Handbook of Transport Economics, 2011).
Questi fenomeni di auto-accumulazione del malessere sociale si sviluppano in modo particolarmente grave all’interno delle grandi aree metropolitane di molti paesi avanzati. Il motivo è costituito dalla concentrazione nello spazio urbano di molti dei fattori da cui dipende il benessere delle persone. L’influenza delle caratteristiche dell’area in cui si abita sulle condizioni di vita dalla famiglia, da “esternalità” negativa (positiva) subita (goduta) si è progressivamente trasformata in un’importante fattore nella decisione riguardo a dove risiedere (Y.M. Ioannides, Discussion Papers Series, University of Tufts, 2010).
Gli effetti di moltiplicazione del malessere sociale sono all’origine dell’evoluzione verso una stratificazione sociale endogena, ovvero la formazione sul territorio di cluster abitativi omogenei al proprio interno ma eterogenei fra loro. L’elevato prezzo delle abitazioni crea una concentrazione territoriale di persone particolarmente facoltose: un quartiere ad alto reddito genera effetti di imitazione e di attrazione di nuovi residenti ad alto reddito, il che a sua volta alimenta l’offerta nell’area di servizi privati di gamma alta e ad alto prezzo – tipici esempi sono i garage ed i posti-auto – con effetti di espulsione dalle aree di pregio e di segregazione abitativa delle famiglie povere. La casa è il tipico bene posizionale che nelle società avanzate viene domandata per l’utilità legata allo status che conferisce al proprietario; negli Stati Uniti, in particolare, ma di recente anche in Europa, un fattore fondamentale nella scelta dell’area di residenza è la dotazione di scuole di qualità (R. Frank, The Darwin Economy: Liberty, Competition, and the Common Good, 2011).
La teoria economica degli ultimi decenni, che ha rivolto particolare attenzione all’endogeno generarsi di “fattori agglomerativi”, ha individuato nella concentrazione spaziale di abitazioni di lusso e servizi di “fascia alta” la condizione per la nascita di “rendite di posizione”. L’evidenza empirica mostra una correlazione significativa tra il disagio sociale delle megalopoli e il fallimento delle istituzioni nel fare fronte all’anomia delle relazioni sociali nelle aree densamente popolate (E.L. Glaeser, in Journal of the European Economic Association, 2014).
Nonostante la globalizzazione e la connessa omologazione a livello planetario degli ambiti di vita, la diseguaglianza abitativa non si presenta però dappertutto allo stesso modo. Per ragioni culturali, infatti, i luoghi fisici della segregazione sono organizzati in modo diverso in diversi continenti. Ad esempio, la diversità del panorama abitativo degli Stati Uniti dipende dai caratteri storici ed etnici profondamente diversi con cui si sono sviluppate le città rispetto all’Europa. Com’è noto, negli Stati Uniti prevale la presenza dei poveri nelle aree centrali e dei ricchi nelle aree residenziali sub-urbane; in Europa è invece invalso il modello di stratificazione opposto. La sostanza, però, non cambia. Negli Stati Uniti come in Europa – ma potremmo allargare il discorso alle megalopoli dell’Asia e dell’America Latina – la tendenza alla segregazione dei poveri e degli esclusi è la diretta conseguenza della crescente segregazione dei ricchi in aree ben delimitate, che essi cercano di rendere esclusive al fine di proteggere il proprio stile di vita. Non a caso, gli economisti interpretano questo fenomeno alla luce della “teoria dei club” (J.M. Buchanan J.M., in Economica, 1965).
Dobbiamo concluderne che la polarizzazione abitativa, nel causare una progressiva divaricazione degli ambiti di vita, si configuri ormai come uno dei più pericolosi fattori di distruzione della coesione sociale? Quali strategie le politiche pubbliche debbono mettere in campo frenare – o quanto meno arginare – la tendenza dello spazio urbano a moltiplicare i fenomeni di disagio personale e di frammentazione sociale?
Nell’elaborazione delle politiche sociali occorrerebbe dedicare un’attenzione molto maggiore all’influenza che in molti modi la casa esercita sul benessere individuale e famigliare, adottando un’esplicita concezione multidimensionale di quest’ultimo.
I contributi al volume “La casa, il benessere e le disuguaglianze” (da noi curato per l’editore Egea, 2015) mostrano quanto importante sia approfondire lo studio della condizione abitativa nelle sue molteplici – e talvolta conflittuali – interazioni con le varie dimensioni del benessere non soltanto di per sé ma anche per disegnare meglio politiche pubbliche della casa idonee a raggiungere gli obiettivi di benessere e coesione sociale che caratterizzano i vari sistemi di Welfare.
In molti paesi, fra cui senza dubbio l’Italia, lo spazio per progredire in questa direzione è decisamente molto ampio.
La casa è sia un diritto essenziale (cfr. “La casa è un diritto essenziale” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2761640.html ), sia una misura prioritaria anti-crisi: (cfr. “Sei misure da adottare contro la crisi e per la crescita” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2767761.html
Ed invece:
Dal rapporto della CIES (Tab. 3.4, pag. 101), si ricava che nel 2009, la spesa per l’housing sociale (case popolari) è, in Italia, appena dello 0,02% sul PIL, contro lo 0,57% della UE27, lo 0,75% della Danimarca, lo 0,65% della Germania, lo 0,20% della Spagna, lo 0,85% della Francia e l’1,47% della Gran Bretagna, con un rapporto tra questi altri Paesi UE e l’Italia, rispettivamente, di 28,5, 37,5, 32,5, 10, 42,5 e 73,5 volte: sono dati che parlano da soli e costituiscono un vero scandalo!
Rapporto sulle politiche contro la povertà e l’esclusione sociale 2011 – 2012
http://www.lavoro.gov.it/Documents/Resources/Lavoro/CIES/RAPPORTO_2011_2012_Fabbris.pdf