La discussione sull’obbligo vaccinale e sulle modalità con cui applicarlo ha tenuto banco nella discussione politica degli ultimi mesi. Per far fronte alla diminuzione delle coperture vaccinali alcune Regioni e alcuni Comuni avevano introdotto (Emilia Romagna e Trieste nel novembre 2016) o erano in procinto di introdurre (Toscana, Lombardia, Puglia) provvedimenti legislativi per inserire le vaccinazioni tra i requisiti necessari per l’accesso ai nidi e alle scuole per l’infanzia.
La discussione si è successivamente spostata a livello parlamentare, finché il 7 giugno scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 73 “Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale” che prevede un aumento da 4 a 12 delle vaccinazioni obbligatorie, introduce l’obbligo vaccinale per l’accesso a nidi e scuole per l’infanzia e prevede un inasprimento delle sanzioni amministrative (fino a 7500 euro) per i genitori che rifiutano la vaccinazione per i propri figli.
C’è ampio dibattito sulla necessità e sull’utilità delle misure coercitive nell’aumentare l’adesione alle vaccinazioni. Non ci sono evidenze scientifiche che documentino l’efficacia o la non efficacia dell’obbligatorietà. Nel 2014 il gruppo di esperti chiamato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità a redigere un rapporto sull’esitazione vaccinale, pur riconoscendo che in alcuni paesi l’obbligo ha contribuito a un aumento delle coperture, raccomandava di valutare con grande attenzione e cautela l’introduzione di misure coercitive che possono minare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni e degli operatori sanitari.
L’esitazione vaccinale è un fenomeno complesso, ed è errato ritenere che tutti i genitori che non vaccinano lo fanno perché contrari alle vaccinazioni. Stando alle indagini condotte anche in Italia, i veri e propri anti-vaccini rappresentano circa il 3% dei genitori, mentre una quota più ampia (10-15%) è costituita dagli esitanti, genitori che nutrono dubbi e timori, che necessitano di ascolto e rassicurazione, che ritardano le vaccinazioni e/o le effettuano solo in parte. [Valsecchi M et al Indagine sui determinanti del rifiuto dell’offerta vaccinale in Veneto. Rapporto 2011] Vi sono poi genitori che faticano ad aderire alle indicazioni del calendario vaccinale per problemi di tipo organizzativo, legati anche all’accesso ai servizi.
L’obbligo vaccinale rischia di rappresentare una risposta semplicistica, non in grado di affrontare una complessità che richiede invece interventi multimodali. Le misure coercitive comportano alcuni rischi: ridurre una fiducia già compromessa verso i medici e le istituzioni, come sottolineato dagli esperti dell’OMS; polarizzare maggiormente le posizioni e le contrapposizioni, aumentando la confusione; aumentare i contenziosi; spostare i genitori esitanti verso una maggiore contrarietà. [Leask J & Danchin M J Pediatric Child Health 2017; 53:439-444] Inoltre, l’obbligo per l’accesso ai nidi nella situazione italiana avrà molto probabilmente un impatto modesto se non irrilevante, lasciando una quota di bambini da 0-3 anni non vaccinati e con il rischio concreto che si creino nidi o asili domestici frequentati da soli non vaccinati, che potrebbero rappresentare piccoli focolai epidemici. [Clavenna A & Bonati M Ricerca&Pratica 2017 33:102-111]
D’altro canto, l’obbligo vaccinale per l’accesso al nido e alla scuola dell’infanzia può tutelare la salute della comunità scolastica, in particolare dei bambini vulnerabili che non possono essere vaccinati per problemi di salute o di chi non risponde alle vaccinazioni.
Il Decreto Legge 73/2017 (Decreto Lorenzin) presenta alcune importanti criticità. La prima è rappresentata proprio dalla scelta di ricorrere allo strumento del decreto legge: di fronte a criteri di necessità e urgenza piuttosto labili sarebbe stato preferibile affidare direttamente al parlamento il compito di legiferare.
La seconda è l’ampio numero di vaccini a cui il provvedimento si riferisce.
Il Decreto Lorenzin pone l’Italia tra le nazioni con il maggior numero di vaccinazioni obbligatorie e la prima in Europa (dove peraltro nella maggior parte dei paesi non vige alcun obbligo). Non solo, ma è un deciso cambio di rotta rispetto alle scelte della politica sanitaria degli ultimi 20 anni, indirizzate verso un percorso di superamento dell’obbligo vaccinale.
Per quanto il profilo di sicurezza ed efficacia sia favorevole per tutti i 12 vaccini, occorre considerare che le malattie infettive prevenibili sono differenti in termini di contagiosità e rischio di complicanze gravi o letali, così come sono diversi i vaccini per entità e durata dell’efficacia protettiva (e di conseguenza per necessità di dosi di richiamo, anche in età adulta). Mettere i vaccini sullo stesso piano implica il non identificare e non condividere con la popolazione quali sono le priorità per la salute pubblica.
Tra i 12 obbligatori, vi sono vaccini che hanno un beneficio che riguarda prevalentemente o esclusivamente il singolo bambino e l’obbligo per l’accesso alla comunità scolastica non è giustificabile con la necessità di tutelare la salute dei compagni. In parte questo può essere dovuto alla disponibilità di vaccini combinati (come nel caso dell’esavalente o del morbillo-parotite-rosolia), ma l’obbligatorietà dei vaccini contro la meningite è poco comprensibile: il meningococco ha una contagiosità poco elevata e la maggior parte dei casi di contagio avviene da portatori sani del batterio, che hanno prevalenza maggiore tra gli adolescenti e i giovani adulti. Questo significa che per ridurre la capacità del batterio di circolare è importante vaccinare questa fascia di età, mentre le vaccinazioni effettuate nell’infanzia servono soprattutto a proteggere il singolo bambino.
Desta particolare perplessità la scelta di rendere obbligatorio (per i nati a partire dal 2017) il vaccino contro il meningococco B: si tratta di un vaccino introdotto in commercio da pochi anni e inserito nel calendario vaccinale solo a gennaio con il nuovo Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale. Molte nazioni europee hanno scelto di non inserirlo nei programmi di vaccinazione perché non costo-efficace (alcuni paesi lo raccomandano, ma il costo dell’acquisto è a carico delle famiglie). A oggi l’efficacia sul campo e nella pratica del vaccino contro il meningococco B necessita di essere approfondita: dai dati disponibili sembra, per esempio, che l’efficacia protettiva si riduca dopo 2 anni e che il vaccino potrebbe non essere in grado di ridurre i portatori sani [Sadarangani M & Pollard AJ Clinical Microbiology and Infection 2016; 22: S103-S112]. Inoltre, i casi di meningococco B si concentrano nei bambini minori di 4 anni e in particolare nel primo anno di vita. L’esclusione dalle scuole dell’infanzia dei non vaccinati contro il B ha davvero poco senso (tra l’altro, un bambino vaccinato nel primo anno di età potrebbe anche non essere più coperto dal vaccino).
Suscitano anche perplessità le sanzioni proposte, per quanto già previste dalla precedente normativa, che potrebbero potenzialmente portare a un’esenzione legata al reddito.
La tutela della salute pubblica avrebbe dovuto eventualmente prevedere un obbligo limitato alle vaccinazioni di maggiore impatto per la comunità (quelle contro morbillo e pertosse, più poliomielite e difterite, attualmente eliminate ma che potrebbero verificarsi nuovamente).
In ogni caso, per morbillo e pertosse occorre ricordare come non sia sufficiente vaccinare solo la popolazione pediatrica. Nel caso della pertosse la protezione dei bambini, specie nel primo anno di vita, si ottiene attraverso la vaccinazione dei famigliari e dei caregiver, mentre per il morbillo l’eliminazione della malattia necessita di strategie di recupero degli adolescenti e degli adulti suscettibili, a partire dagli operatori sanitari e dal personale scolastico.
A questo riguardo va sottolineato come più del 70% dei casi ammalatisi durante la recente epidemia di morbillo aveva più di 15 anni, e come circa 1 su 10 era un operatore sanitario. Le strategie di recupero (catch-up) previste nei piani del Ministero della Salute fin dal 1999 sono state scarsamente attuate. Purtroppo non è stata effettuata alcuna riflessione da parte delle istituzioni preposte su queste mancanze (che hanno in parte contribuito all’epidemia osservata in questi mesi) e su come porvi rimedio.
Resta, infine, da capire quale sarà la strategia complessiva in cui si inserirà l’obbligo, come si concretizzeranno gli interventi informativi ed educativi e quale sarà l’impatto del provvedimento sull’attività dei servizi vaccinali e degli istituti scolastici.
Qualunque sia la visione sull’obbligo vaccinale, dovrebbe essere opinione comune che questo rappresenta una sconfitta per tutti: comunità civile, genitori, ma soprattutto operatori sanitari e istituzioni, politiche e non. Nel 1995 il Consiglio Superiore di Sanità, aveva ravvisato “l’opportunità di considerare, in virtù dell’evoluzione culturale ed economica della società italiana, lo spostamento delle vaccinazioni dagli interventi impositivi a quelli della partecipazione consapevoli della comunità”, come avviene nella maggior parte delle nazioni europee. L’Italia non è riuscita a portare a termine il lungo percorso verso il superamento dell’obbligo vaccinale e le responsabilità sono comuni e condivise. Ritenere che si tratti solo di un problema culturale, tipicamente italiano e non risolvibile altrimenti, è una visione non del tutto aderente alla realtà.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono personali e non riflettono necessariamente quelle dell’istituzione di appartenenza
ottimo articolo che presenta spunti di riflessione assolutamente e oggettivamente utili per un dibattito che comunque è stato assolutamente silenziato dalla soluzione della decretazione d’urgenza e dal ricorso alla questione di fiducia alla camera dei deputati, segno della mancanza di volontà di affrontare le proprie responsabilità e scaricare l’eventuale ipotetica colpa di epidemie spesso inesistenti o in linea con la storia epidemiologica italiana sui genitori che non vaccinano.
L’articolo ha una sola oggettiva mancanza e cioè non affronta i motivi per cui il 3% degli italiani (costituito essenzialmente da un livello culturale medio alto quindi con molti strumenti scientifici per affrontare in modo serio certi argomenti) rifiuta la prassi vaccinale. Il fatto che la classe scientificamente preparata del popolo rifiuti a priori la pratica vaccinale attuale non potrà essere per molto tempo nascosto alla maggioranza della popolazione.
I motivi scientifici per cui un genitore con cultura medio alta rifiuta di iniettare un farmaco al suo neonato sano è la mancanza di studi prospettici seri che correlino le vaccinazioni alle malattie moderne (autoimmunità, tumori, allergie, dismetabolismi, …) in mancanza di esami diagnostici pre e post vaccinazione. Nessun esame genetico è stato predisposto ad esempio per filtrare la coorte del 3% di neonati con debolezza genetica MTHFR ad esempio che determina deplezione del glutatione, il più potente antiossidante e quindi il maggior candidato a eliminare l’alluminio contenuto nei vaccini di cui nessuno sa in concreto dosi sicure in un neonato e che è una sicura sostanza neurotossica capace di provocare anche autismo ma non solo.
Tutti i medici sanno che:
– i neonati hanno difficoltà a produrre glutatione e rimangono quindi esposti all’alluminio
– il loro Th2 dei neonati è sovramodulato rispetto al Th1 dalla fase fetale per impedire la crisi di rigetto in gravidanza e che prima che si riequilibri passeranno molti mesi e molti vaccini (somministrati insieme in un cocktail che non tiene conto della loro specifica linea di stimolazione, diversa da vaccino a vaccino) vanno a sovrastimollare proprio la linea Th2 disturbano la fase di riequilibrio e nessuno studi è stato fatto a proposito per capire quali neonati sono a rischio ma l’epidemiologia qualche segnale di allarme riguardante il maggior numero di ‘allergici tra i bambini ci sia e non basta la teoria igienista a scongiurare il fattore ‘vaccini’. Non a caso in giappone si è postiticipata la vaccinazione a dopo due anni di vita e si è già ridotta la % delle morte in culla.
Aggiungiamo che:
– in mancanza di farmacovigilanza seria è impossibile valutare in modo scientifico il rapporto rischio/beneficio
– il decreto vaccini è stato materialmente scritto da un dirigente del Ministero della Salute, Ranieri Guerra che è a libro paga dell’Azienda farmaceutica Glaxo…
– tutte le evidenze epidemiologiche serie dimostrano che la teoria di gregge è una bufale, la mongolia era stata dichiarata morbillo-free nel 2014 dopo anni di coperture vaccinali superiori al 95% e dopo 3 anni di assenza di infenzioni. Ebbene nel 2015 si sono verificati 6000 casi di morbillo.
Ora voi davvero pensate che siano gli ignoranti a rifiutare la vaccinazione oppure il problema non sia il rifiuto del vaccino ma le politiche sanitarie sbagliate, le bufale scientifiche spacciate per verità, la mancanza di vera cultura scientifica proprio tra coloro che dovrebbero essere ‘galileiani’ e invece si comportano peggio della santa inqusizione.
La battaglia per una salute personale e pubblica più adeguata a quelle che sono le più fondate regole biologiche ed epidemiologiche non sarà certo portata avanti solo dai complottisti e dai creduloni ma principalmente dai tanti genitori che non vogliono credere che la scienza sia diventata così cialtrona da vaccinare contro epatiteB tutti neonato quando invece in italia da 30 anni i neonati che si infettano sono i circa 20-30 e tutti praticamente figli di tossicodipendenti. Non si può costringere un genitore informato sui dati epidemiologici ad essere trattato come un tossicodipendente. Chi non capisce queste motivazioni è assolutamente disinformato ed esserlo sulla salute è una colpa grave per qualsiasi genitore, anche quelli in buona fede che credono nella vaccinazione, nella medicina allopatica e nelle politiche sanitarie del ministero. Bisogna sempre informarsi, vaccinando o non vaccinando, senza fidarsi di nessuno