Andrea Boitani insegna Economia Politica ed Economia Monetaria all’Università Cattolica di Milano. Ha studiato a Roma (Sapienza) e Cambridge (UK). I suoi libri più recenti sono Sette luoghi comuni sull’economia e L’economia in tasca. 100 citazioni imperdibili (Laterza, 2017); Scusi Prof, cos’è il populismo? (con R. Hamaui, Vita e Pensiero, 2019); Macroeconomia (3a edizione, Il Mulino, 2019). Da poco è uscito L’illusione liberista (Laterza, 2021).
Elena Granaglia sullo scorso numero del Menabò ha individuato 6 domande alle quali occorrerebbe dare una convincente risposta per porre su solide basi l’ideale meritocratico. Tutte le domande sono rilevanti, così come gli argomenti che Granaglia avanza in relazione a ciascuna di esse. La lettura dell’articolo ci ha sollecitato alcune riflessioni, che possono essere viste…
Andrea Boitani, occupandosi della consultazione lanciata dalla Commissione Europea Sulla governance economica dell’Unione e sulla sua possibile riforma, sostiene che essa ha mostrato che è abbastanza ampio il favore per una capacità fiscale centrale che realizzi investimenti in alcuni fondamentali beni pubblici mentre è più frammentata l’opinione sulla riforma delle regole fiscali, anche se è abbastanza condivisa la necessità di regole più semplici, meno dipendenti da variabili non osservabili, abbandonando obiettivi di debito e deficit uguali per tutti.
Andrea Boitani e Roberto Tamborini sostengono che è necessario riformare le regole fiscali europee prima che si torni ad applicare le vecchie. Nate quando l’efficacia macroeconomica delle politiche di bilancio e gli spillover tra paesi erano sottovalutati, quelle regole sono rimaste pro-cicliche e di difficile attuazione. Boitani e Tamborini ne propongono una profonda revisione basata su tre pilastri e sottolineano che le scelte politiche spettano alle istituzioni politiche, fuori da illusori automatismi.
Andrea Boitani critica in modo radicale il progetto liberista. Un progetto che mira a una società che si risolve nel mercato, dove i rapporti sociali sono irrilevanti, se non mediati dal mercato, le istituzioni politiche valutate solo in base agli interessi economici di individui egoisti, e il denaro può comprare tutto. Le disuguaglianze possono crescere a dismisura in nome del merito, degli incentivi, dell’efficienza. I guasti ambientali sono favoriti dal bilancino dei costi e benefici usato dagli economisti, che pende a favore del presente e “svaluta” il futuro.