Le aree interne – definite come “quella parte del Paese distante da centri di agglomerazione e di servizio e con traiettorie di sviluppo instabili ma al tempo stesso dotata di risorse che mancano alle realtà centrali, “rugosa”, con problemi demografici ma al tempo stesso fortemente policentrica e con elevato potenziale di attrazione” [1. Cfr. METODI E OBIETTIVI. PER UN USO EFFICACE DEI FONDI COMUNITARI 2014-2020, Presentato dal Ministro per la Coesione Territoriale, Roma, 27 dicembre 2012] – sono diventate una opzione strategica per lo sviluppo dei territori e, da qualche tempo, sono al centro dell’attenzione dei nostri policy maker.
Questo articolo analizza alcune comunità calabresi di matrice albanofona che si distinguono da altre aree interne perché presentano la peculiarità di essere società granitiche dal punto di vista culturale e linguistico, nonostante siano trascorsi quasi 500 anni dalla loro fondazione, ed è interessante chiedersi se queste peculiarità si sono riflesse sulle caratteristiche dello sviluppo che esse hanno conosciuto nel corso degli ultimi decenni [2. Nel nostro Paese la presenza albanese si concentra in 50 comunità (41 comuni e 9 frazioni), distribuiti in sette regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia)].
In Calabria gli albanesi hanno fondato o ripopolato 27 comunità, la maggior parte delle quali nella provincia di Cosenza. Molti degli insediamenti albanesi hanno rianimato vecchi e abbandonati casali medievali e li hanno rivitalizzati dal punto di vista produttivo, determinando da un lato una ripresa economica delle aree interne fortemente depresse e, dall’altro, la formazione di ambienti culturali omogenei, che si distinguevano dalle altre comunità circostanti per lingua, rito religioso, tradizioni e costumi.
Le comunità italo-albanesi della Calabria soffrono non soltanto per la distanza dai centri urbani situati nelle pianure e nelle zone costiere, ma anche per la loro endemica “separatezza” fisica, dovuta alle caratteristiche del processo di insediamento e formazione delle comunità nel territorio della regione. Infatti, i centri albanofoni della Calabria hanno assunto, sin dai primi insediamenti, la fisionomia di grumi di comunità arroccate su aree collinari e montane, con gravi difficoltà di collegamento rispetto ai centri più urbanizzati. Un territorio così “svantaggiato” ha ostacolato non soltanto lo sviluppo economico delle aree ma anche gli stessi insediamenti umani; lo prova la densità abitativa per km quadrato di questi comuni che è di soli 78 abitanti per km quadrato, molto inferiore sia a quella media nazionale (201) sia a quella media regionale (133). I casi limite di questa spinta desertificazione umana si registrano a Castroregio e Plataci, dove la densità demografica è pari, rispettivamente, a 8,92 e 15,94 abitanti per km quadrato.
L’analisi dei dati demografici ed economici [3. Il confronto si basa sull’elaborazione ed analisi dei dati sulle aree interne di fonte del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione (DPS)] porta a ritenere che le comunità italo-albanesi non si differenzino molto dalle altre aree interne della Calabria sotto il profilo socio-economico. Il quadro che emerge è, infatti, piuttosto uniforme per tutte le aree interne e ciò suggerisce che l’alto grado di coesione sociale che caratterizza queste comunità, e a cui si è fatto cenno, non abbia determinato sentieri di sviluppo diversi, per caratteristiche e dinamiche, da quelli che hanno connotano le aree interne della regione. Alcuni fenomeni ritenuti peculiari delle aree interne (spopolamento, invecchiamento, depauperamento del capitale umano) in queste comunità sono addirittura più accentuati.
Nel 2011 la quota di anziani sulla popolazione – espresso dal rapporto tra la popolazione con almeno 65 anni e la popolazione residente – era più alto nelle comunità italo-albanesi: 27,16 %, contro il 22,39% del resto delle aree interne calabresi. Come confermano i censimenti del 1971, 1981, 1991 e 2001 questo fenomeno è presente da tempo e, anzi, tende ad accentuarsi. Infatti, nel 1971 il rapporto era pari a 12,20% per le comunità italo-albanesi, solo di poco superiore a quello delle altre aree interne (11,96%).
Anche il ridimensionamento della popolazione residente è stato più consistente nelle comunità italo-albanesi. Infatti, qui la popolazione è diminuita del 27,87% tra il 1971 e il 2011 mentre nel resto delle aree interne della Calabria il decremento è stato inferiore di dieci punti percentuali (-17,48%). La perdita di popolazione si riflette anche sulla densità abitativa per km quadrato che, come si è detto, denota una forte polverizzazione nelle comunità italo-albanesi (l’indicatore è pari a 71,49 contro 102,93 nel resto delle aree interne).
Un dato in (leggera) controtendenza è quello sulla presenza di stranieri che risulta più elevata nelle comunità italo-albanesi. Nel 2011 la popolazione straniera residente era il 2,78% della popolazione totale residente contro il 2,62% nel resto delle aree interne della regione. E’ probabile che questo dato sia almeno in parte dovuto all’effetto di richiamo che queste comunità esercitano sui cittadini stranieri di matrice albanofona che emigrano nel nostro paese.
Molti indicatori segnalano l’assenza di articolazioni manifatturiere e la prevalenza dell’agricoltura tradizionale. L’indicatore di specializzazione manifatturiera, dato dalla quota di addetti manifatturieri nelle unità locali dei comuni con almeno 150 addetti totali sulla quota del paese, calcolato con riferimento al 2009 per un numero limitato di paesi italo-albanesi, si attesta su valori poco significativi, come del resto avviene per altre aree interne della Calabria. Per esempio a Caraffa di Catanzaro la quota di addetti manifatturieri è pari ad appena 1,84, a Frascineto è 0,96, a Santa Sofia d’Epiro è 0,84, a Spezzano Albanese è 0,72, a San Demetrio Corone è 0,59, mentre a Lungro scende a 0,36. Dall’esame dei dati di più lungo periodo emerge poi che gli addetti nei settori manifatturieri seguono una dinamica peggiore rispetto alle altre aree interne calabresi. Ciò vale anche per il settore dei servizi e per l’agricoltura.
La scarsa vocazione manifatturiera e per i servizi assieme a un’agricoltura improntata ancora a tecniche colturali di tipo tradizionale, limitano fortemente le opportunità di creazione di ricchezza su base locale. Nonostante ciò, il reddito mediamente dichiarato dai residenti nei comuni italo-albanesi tra il 2005 e il 2011 è aumentato (da 13.368 euro a 16.239 euro pro-capite), il suo livello resta però molto al di sotto del reddito mediamente dichiarato in Calabria (19.842 euro pro-capite nel 2011) [4. I dati sono di fonte Ministero dell’Economia e delle Finanze].
Come accennato in apertura, la programmazione dei fondi comunitari per il 2014-2020 mira alla costruzione di una strategia per le aree interne [5. La politica di coesione prevede per il ciclo 2014-2020 uno strumento di sviluppo locale partecipativo per le aree interne – gli Investimenti Territoriali Integrati (ITI) – che consente di mobilitare in modo diretto le competenze locali in un progetto strategico per lo sviluppo socio-economico di un’area], in cui le politiche ordinarie e straordinarie agiscano in modo congiunto per le impedire che le condizioni sfavorevoli di contesto pongano ostacoli all’azione imprenditoriale e alla valorizzazione delle risorse peculiari di questi luoghi che per contro assicurano un’elevata qualità della vita e risultano attrattivi rispetto ai grandi centri urbanizzati [6. I documenti strategici per la programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, rilevano come le aree interne corrispondano al 53% circa dei comuni italiani (4.261), cui fa capo il 23% della popolazione italiana secondo l’ultimo censimento, pari a oltre 13.500.000 abitanti, residenti in una porzione del territorio che supera il 60% della superficie nazionale. Cfr. Accordo di Partenariato 2014-2020 per l’Italia].
I paesi italo-albanesi della Calabria possono essere, al pari delle altre aree interne, uno dei nodi territoriali della strategia, in quanto necessitano di interventi sulle condizioni materiali e organizzative in grado di contrastare le tendenze di cui si è detto.
Questo disegno può essere, peraltro, favorito dal comune denominatore concettuale che rende queste comunità un “pezzo” di territorio della Calabria e del Mezzogiorno con un condensato di fattori distintivi e originali rispetto ad altre aree interne della stessa regione. Esse, infatti, formano un asse di paesi con una forte coesione e omogeneità sul piano linguistico, storico-culturale e rurale, che ha resistito più di tutti gli altri alle insidie della modernizzazione e dello sviluppo.
Le risorse storiche e paesaggistiche costituiscono un asset strategico da attivare per lo sviluppo economico delle comunità. Percorrendo le strade che collegano i paesi italo-albanesi è visibile ancora oggi il bassissimo livello di antropizzazione, il territorio prettamente rurale, ed una ricchezza paesaggistica ancora intatta e selvaggia, a tratti mozzafiato.
Per lunghi anni gli unici interventi concepiti dalle politiche pubbliche hanno riguardato azioni legate alla difesa del suolo o alla forestazione, dimenticando la vera “risorsa” delle comunità italo-albanesi che è il ricco patrimonio culturale e identitario, di cui si conservano numerose tracce tangibili e intangibili.
Un progetto che serva a “federare” i paesi italo-albanesi sul tematismo della tradizione e del modello di vita comunitario può essere il perno sul quale costruire politiche per il rilancio territoriale, coinvolgendo le forze più innovatrici del territorio, ovvero quelle (diverse dai rentiers) che non hanno interesse o convenienze al mantenimento dello status quo. L’obiettivo dovrebbe essere lo sviluppo inteso come inclusione sociale, cioè come accesso del maggior numero di persone a livelli socialmente accettabili di servizi e di vita. Solo così le popolazioni e le generazioni future potranno “desiderare” di abitare questi luoghi, garantendone la sopravvivenza e la rigenerazione.
I temi trattati in questo articolo sono approfonditi in un saggio più ampio che comparirà sulla rivista Meridiana.